“Salviamo la casa bassa”, appello a Spazzafumo, Acquaroli e Sovrintendenza

“Pasolini nel 1959 valutò la Riviera già omologata al modello romagnolo senza un’anima e destinata a perdere i connotati di città marinara”

Mobilitazione delle associazioni di San Benedetto del Tronto per salvare la casa bassa dei marinai. Si stanno impegnando il Circolo dei Sambenedettesi, il Circolo Nautico, l’Associazione Pescatori Sambenedettesi, il Fai e i Lions Club San Benedetto. Hanno scritto una lettera al sindaco di San Benedetto del Tronto Antonio Spazzafumo, al sovrintendente archeologico Belle Arti e Paesaggio delle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno Giovanni Issini,  al governatore delle Marche Francesco Acquaroli.

“Alcune delle associazioni – scrivono – più rappresentative della città, per numero di iscritti e presenza sociale e culturale nella vita sambenedettese, si rivolgono a voi, autorità locali e regionali, preposte alla tutela e salvaguardia del patrimonio storico, per sottoporre alla vostra attenzione una questione che ci pare di primaria importanza per la nostra città di San Benedetto e per l’intera cultura della regione che deve considerare come parte integrante della sua identità la storia della pesca e la civiltà marinara ad essa correlata.

Un elemento fondamentale per la conoscenza della comunità dei pescatori che ha fatto la storia della città è la struttura urbana e il sistema abitativo: la “casa bassa” ne costituisce il nucleo centrale e il segno caratteristico.

Già Pasolini nel 1959, inviato dal settimanale “Successo”,  a bordo della sua 1100 passò per San Benedetto e valutò la città già omologata al modello romagnolo senza un’anima e destinata a perdere i connotati di città marinara: forse aveva previsto gli anni ’60 e ’70, quando nella frenesia della modernità e del cambiamento  nel centro cittadino si sarebbe verificato il vero stravolgimento di un borgo che  stava perdendo i suoi caratteri originali
con il rischio di non essere più riconoscibile come centro  marinaro.

La Marina , dopo il piano regolatore del 1793 redatto dal capomastro fermano Paglialunga, aveva mantenuto a lungo il suo assetto urbanistico, cambiando solo in tempi recenti il nome delle vie allora denominate in base ai mestieri che vi si svolgevano “via dell’Ancoraggio, via dei Vetturini, via dei Cordari, via dei Calafati ecc.) e acquisendo il dominio dei relitti di mare ( le nuove terre della maréne emerse per il progressivo allontanamento del Mare) che determinarono la grande espansione demografica del borgo. Un fenomeno che avvenne attraverso la costruzione di pagliari, nel nuovo nucleo dei pajarà, e di piccole abitazioni in mattoni, le cosiddette case basse.

Giuseppe Merlini, archivista e storico del comune nel suo quaderno dedicato al quartiere della Marina, il settimo della collezione che meritoriamente  ha realizzato per l’archivio e la città, la definisce così:
La casa bassa rappresenta la tipica abitazione marinara della costa marchigiana. Questo particolare tipo di abitazione, definito e classificato in base alle sue caratteristiche morfologiche dimensionali, è più o meno equamente diffuso su tutto il litorale e rappresenta spesso la tipologia predominante nei borghi marinari che si sono sviluppati tra la fine del XVII e il XIX secolo.

Si tratta di abitazioni generalmente di piccole dimensioni, aventi un modulo  base di circa 3,5 x 8,00 m. con la presenza del solo piano terra e solitamente monolocale; il bagno, dove era presente, è costituito da un buco sul muro direttamente collegato con una fossa assorbente esterna. Prive di acqua corrente, l’illuminazione si ottiene mediante l’unica finestra presente sulla facciata o con candele, lumini o altro; anche l’arredamento è ridotto al minimo indispensabile e consta solitamente di un semplice tavolo con qualche sedia,
accanto ad un camino per cucinare, un letto e pochi utensili. Sono costruite con materiali poveri e spesso prive di pavimento, realizzato con semplice terra battuta.

In una seconda fase evolutiva assumono una tipologia a due piani con una serie di varianti in base alla posizione della scala e/o al loro sviluppo planimetrico in rapporto al tessuto urbanistico in cui sono inserite’.

Oggi questo patrimonio abitativo è in gran parte perduto e occorre intervenire con misure urgenti  di tutela per salvaguardare gli ultimi segni storici e architettonici di una tipologia residenziale che rischia la totale estinzione.
Attraverso  una  attenta ricognizione nel centro storico della città di San Benedetto si può constatare come  siano rimasti pochi esemplari di “casa bassa”: una non molto significativa in  Via Palestro, una in via  Laberinto, ma soprattutto, il blocco di case basse tra via Cairoli e via degli Orti, il più significativo e conservato, con area verde intorno, che può costituire un esempio rappresentativo sia della tipologia architettonica che della
modalità abitativa.

La tutela e il restauro conservativo di tipo filologico di questo blocco residuale di case basse, probabilmente risalenti al XIX Secolo,  costituisce un compito di primaria importanza degli enti statali e comunali che hanno la funzione di tutela e salvaguardia del patrimonio storico e della tradizione marinara di uno dei centri più importanti della costa marchigiana.

Le Associazioni firmatarie della presente istanza  non vogliono assistere impotenti alla sparizione di quest’altro pezzo di storia e fanno appello all’Amministrazione comunale, alla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio, alla Regione Marche e a tutti i sambenedettesi  sensibili alla storia cittadina, perché questo patrimonio venga salvato per  evitare  una perdita altrimenti  irreversibile.

Inoltre si impegnano, insieme agli enti pubblici, a mettere a disposizione le proprie organizzazioni per partecipare ad ogni iniziativa anche di tipo finanziario per acquisire al patrimonio pubblico questi beni culturali – conclude la lettera delle associazioni di San Benedetto – perché si possa procedere successivamente alle attività di restauro e di finalizzazione ad uso sociale e culturale delle “case basse”.

Nella certezza di una iniziativa di tutela e valorizzazione da parte degli enti pubblici in indirizzo, le associazioni firmatarie di questa istanza intendo sensibilizzare, in tutte le modalità possibili, l’opinione pubblica alla difesa di un patrimonio identitario  che ritengono di grande valore culturale e sociale”.

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