Ok del Comitato al nuovo ospedale in un’area industriale dismessa del Tronto

Bocciata la bretella collinare a servizio del Madonna del Soccorso riqualificato

Il Comitato “Fermiamo il Consumo di Suolo SBT” interviene nel dibattito sul nuovo ospedale a San Benedetto del Tronto. Gli ambientalisti lamentano constatano “l’avvilimento per le difficoltà decisionali nell’individuazione di un’area idonea ad ospitare un nuovo nosocomio”.

Il comitato “Fermiamo il Consumo di Suolo” affida l’analisi all’arch. Guido Benigni. “La grande verità è che non riusciamo a digerire il fatto che San Benedetto è una città ormai satura – la riflessione di Benigni – e sistematicamente bloccata. Infatti, nonostante essa sia un polo di riferimento per il territorio circostante, si trova puntualmente impreparata ad accogliere i principali servizi degni di una città di tali dimensioni e così densamente popolata.

Il motivo è semplice e sotto gli occhi di tutti: per più di 50 anni abbiamo lanciato le nostre pedine senza una scacchiera di riferimento. Ulteriore prova di ciò è l’opportunità mancata per lo sviluppo di un sistema di trasporto pubblico innovativo e capillare (vedi le mai realizzate corsie riservate ai mezzi pubblici, la metropolitana di superficie, la situazione della stazione ferroviaria ecc…), rendendo vano qualsiasi sforzo o investimento in nuove strutture pubbliche.

Ed è per questa ragione che oggi il “Madonna del Soccorso” è diventato un ospedale centrale ma depotenziato poiché difficilmente raggiungibile con le tempistiche emergenziali necessarie per strutture di questo tipo. Se avessimo avuto una pianificazione adeguata, avremmo potuto impedire una cementificazione selvaggia nei dintorni del nosocomio (tra l’altro prevedibile, vista la sua localizzazione centrale ed appetibile) e creato “zone cuscinetto” per i servizi collaterali destinati alle funzioni ospedaliere”.

Ancora Benigni: “Ora, se dopo un accurato studio di fattibilità, la Regione Marche avesse optato per la riqualificazione dell’attuale struttura ospedaliera (attraverso una demolizione e ricostruzione per stralci, ad esempio) sarebbe dovuta essere già pronta, o in via di esecuzione, una nuova infrastruttura viaria per facilitare l’accessibilità al Madonna del Soccorso (la tanto discussa bretella collinare) con ulteriore dispendio di risorse e un impatto ambientale oneroso dovuto alla realizzazione di una strada che è tutt’altro che sostenibile.

Quindi, per essere chiari, in un potenziale bilancio ambientale, abbiamo dei pro e dei contro sia nell’ipotesi di una riqualificazione in situ, sia nell’ipotesi di una
delocalizzazione.

Vista la certezza, ahinoi, di una volontà di delocalizzare da parte dell’ente regionale, continuando con il deleterio consumo di suolo (anche se per realizzare strutture di pubblica utilità) ci chiediamo il perché non sia stata avallata l’ipotesi di una delocalizzazione in un’area dismessa e già urbanizzata invece che in un suolo vergine. Se nella scelta dell’area è preponderante il criterio della dotazione di infrastrutture del contesto in cui verrà localizzato l’ospedale, potremmo tranquillamente dire che l’ospedale potrebbe avere la sua naturale destinazione all’interno di una delle
numerose aree dismesse all’interno dell’area industriale del Tronto.

Collocandosi nella fascia di terra stretta tra il RA 14, l’Autostrada Adriatica e la Ferrovia Ascoli-Porto d’Ascoli, gli investimenti spesi per la dotazione infrastrutturale sarebbero minimi e potrebbero essere invece improntati per i necessari interventi di bonifica e dare finalmente avvio ad una rigenerazione di un’area industriale degradata in
vastissime porzioni.

La nostra classe dirigente è consapevole più di noi che qualsiasi area verrà scelta a San Benedetto per un nuovo Ospedale sarà di difficile gestione, prigionieri di un agire campanilistico e che non guarda oltre i propri stretti confini amministrativi. Siamo certi che, se la costa Picena e i Comuni attigui (l’attuale ATS 21), avessero già tutti gli strumenti per pianificare all’unisono ed in maniera sistemica in un unico ente territoriale non assisteremmo a questa spasmodica ricerca di un’area disponibile, ma avrebbero avuto la forza contrattuale e politica per la richiesta di ingenti risorse volte a qualificare aree degradate e già urbanizzate – conclude l’arch. Benigni – pronte ad accogliere una struttura innovativa, sostenibile e di riferimento regionale”.

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