Lo sfogo di Paolo Crepet allo Sferisterio di Macerata

L’arena si trasforma in un luogo comune

di Marco Ribechi

Paolo Crepet presenta il suo ultimo libro allo Sferisterio di Macerata e l’arena si trasforma in un immenso luogo comune. Nella serata di ieri sera il tempio della lirica maceratese è riuscito ad assumere per l’ennesima volta una nuova veste, confermando la sua versatilità e la sua capacità di trasformismo già dimostrate in oltre 150 anni di storia. Lo Sferisterio infatti, nato per la palla al bracciale, è stato arena sportiva, cinema, tempio d’opera, luogo per concerti, punto di partenza di gare motoristiche, spiaggia (con un recente Elisir d’amore), persino luogo metafisico del futuro attraverso l’Aida del 50° anniversario diretta da Francesco Micheli nel 2014. Da ieri è diventato anche “un luogo comune”, nonostante l’oggettiva difficoltà di trasformare l’edificio dell’Aleandri finanziato dai Cento Consorti in un banale spazio ordinario.

A riuscire nell’ardua impresa è stato il divulgatore Paolo Crepet con un’ora e mezza di spettacolo, o meglio di monologo, durante il quale l’arena è stata spogliata di ogni sua identità culturale per tramutarsi in un grande bar della stazione, o dello stadio, che dir si voglia. In realtà non si può nemmeno parlare di monologo poiché scomodare l’arte teatrale per definire una serie infinita di sfoghi e giudizi assolutamente personali potrebbe far venire l’orticaria agli attori veri, che vedono continuamente rubarsi i loro palchi da questi immensi fenomeni pop che si atteggiano a guru esistenziali, aumentando l’appeal verso le agenzie di eventi che fanno incassi facili. Forse è più lecito attingere all’arte cinematografica scomodando niente di meno che il capolavoro irraggiungibile del 1979 di Andrej Tarkovskij, Stalker, dove il protagonista alle prese con i suoi due compagni di viaggio definiva i loro discorsi una “sciolta sociologica”. In realtà le parole del maestro del cinema sovietico suonano ancora più dure ma, per motivi di eleganza, qui è forse meglio parafrasare.

Lo sfogo di Crepet non è infatti che una serie infinita di luoghi comuni dell’ovvietà più ovvia, trangugiati e risputati uno dopo l’altro senza nemmeno una soluzione di continuità, saltando di palo in frasca per catturare i mal di pancia del pubblico, ovviamente sensibile ai temi trattati. Una serie di giudizi furiosi e nefasti su ogni aspetto che caratterizza la società, messa ovviamente a paragone con l’età dell’oro dell’umanità che, guarda caso, coincide con le tappe di vita dello stesso Crepet, autoproclamatosi demiurgo della contemporaneità, ovvero artefice dell’universo.
Così nessuno è in grado di capire, ragionare, studiare, creare. Dal suo punto di vista, che però è in realtà una malcelata strategia comunicativa studiata a tavolino, nessuno capisce nulla. Non capiscono nulla i giovani inebetiti dalla tecnologia, colpevoli di sprecare la loro vita sul divano aspettando l’eredità del nonno, non capiscono nulla i genitori, colpevoli di viziarli con tablet, macchine e paghette i loro figli, non capiscono nulla gli insegnanti per i cui ragazzi sono oggetti da indottrinare spogliandoli di ogni personalità. L’unico che ci capisce è proprio lui, Paolo Crepet, per cui ogni aspetto della società va ricollegato al suo mondo piccolo borghese immaginario (delle classi popolari non c’è traccia), in cui la sua visione è semplicemente affermazione di potenza, capace di creare negli ascoltatori quel banale scenario apocalittico a cui attinge anche la politica di più bassa lega.

La tecnica comunicativa di Crepet, infatti, (meglio passare alla comunicazione perché i contenuti sono incommentabili) è estremamente chiara e si basa su ciò che i politici fanno da almeno due decenni per raccogliere consensi, ma che veniva fatto anche nell’antica Grecia dai divisori del popolo, spesso poi mandati in esilio tramite l’ostracismo. Ovvero far salire il consenso con argomenti facilmente condivisibili e orrendamente generalizzati per poi raccogliere l’applauso con il giudizio a portata di mano.
Ovviamente i discorsi devono essere facilmente comprensibili da tutti quindi spazio ai girasoli di Van Gogh “Il giallo di quei girasoli era bellissimo ma lui non ha venduto nemmeno un quadro perché noi non accettiamo il diverso”, oppure “Ai miei tempi c’era la minigonna, quella sì che fu un vero atto rivoluzionario non come oggi” e ancora “Oggi i giovani sono seduti sul divano, hanno perso ambizione e coraggio”. Una delle affermazioni più ricorrenti però è quella del bamboccione che aspetta l’eredità del nonno affittando l’appartamento su Airbnb “Per non uscire dalla sua comfort zone”. Roba da far sanguinare le orecchie a qualsiasi antropologo, sociologo, psicologo che abbia fatto un minimo di studi e con un po’ di onestà intellettuale.
Questo perché la raffica di colpi sparati da Crepet non ha un minimo di contestualizzazione sociale, storica o culturale, il divulgatore finge di non sapere che i figli diventano padri e poi nonni, e che tutto quello che succede nel buio della contemporaneità in realtà trae origine anche dalla generazione d’oro di cui lui è patriarca. Infatti la storia umana non procede a salti quantici ma è un continuum generazionale e le condizioni tecnologiche, oggi sbalorditive nelle loro fantascientifiche possibilità, è ovvio che sconvolgano l’ordine prestabilito delle cose a cui Crepet si aggrappa con le unghie e con i denti perché proprio con questa critica si riempie le saccocce. Nel delirio di onnipotenza non può non mancare un’autocelebrazione che farebbe impallidire persino il Marchese del Grillo di Alberto Sordi, che diceva :”Perché io so io e voi…“. Quindi la madre di Crepet donna fantastica, sua nonna ancora migliore, il padre un medico che salvava tante vite e lui stesso un campione di intelligenza, abilità, capacità, visione a cui un maceratese piccolo come il sottoscritto non può che inchinarsi togliendosi il cappello e dicendo: “Mammamia quanto si svertu“.

Anche i riferimenti sono delle stilettate chirurgiche che mascherano il banale luogo comune da elemento strabiliante, un po’ come il Pandoro Balocco. Quindi se si parla di rock si scomoda David Bowie che mette tutti d’accordo, se si parla di arte Picasso che allo stesso modo mette tutti d’accordo, e così via in una serie di affermazioni che lasciano il tempo che trovano, le classiche lezioni che ti entrano da un orecchio e ti escono dall’altro. Ma il capolavoro della serata, l’apice mai raggiunto in 150 anni di storia, avviene proprio sul finale quando, dal nulla, dopo aver parlato per un’ora e mezza di tutt’altre cose, se ne esce con l’iconica frase ad effetto: “Donne, siate libere!”. Apoteosi, un’affermazione che potrebbe mandare in depressione anche il più esperto autore delle frasi dei baci perugina. Ma tanto la tecnica è l’affermare continuamente: “Non me ne frega niente”, “Io sono libero”, “Pensatela come volete”, anch’esso uno stratagemma per far sentire lo spettatore inopportuno, attribuendogli la colpa nel caso non la pensi come il suo oracolo. Francesco Guccini diceva spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato, ma queste parole non si possono applicare a questo spettacolo. Forse è più adeguato passare a L’Avvelentata in cui vengono citati i critici, personaggi austeri, militanti severi con le loro relative ambizioni.

Lo spettacolo potrebbe avere una scusante se l’intento di Crepet fosse realmente quello di offendere e scandalizzare il suo pubblico, allora sarebbe una metafinzione che, quella sì senza ironia, rappresenterebbe qualcosa di geniale. Si potrebbe salvare se Crepet rivolgesse realmente quelle offese al suo pubblico creando un grande baraccone masochista in cui gli spettatori vanno lì per farsi schiaffeggiare, come in alcuni ristoranti di Tokyo. Ma purtroppo non è così. Quello che Crepet cerca è il consenso della platea perché è esattamente questo consenso che porta incassi. Quindi offende ma con tatto, critica ma alternando i rimproveri a battute ad effetto che, incomprensibilmente, strappano risate al pubblico sottraendolo contemporaneamente a un vero pensiero critico e seppellendolo nella risata.
Egli in realtà è esattamente ciò che critica dall’alto del suo trespolo. E’ un influencer con tutte le pagine social attivissime e con migliaia di followers e bombardando la rete di pillole e supposte dei suoi show, ricerca l’approvazione del pubblico affermando di non volerla, sfrutta il sistema mediatico a cui invece attribuisce condizione demoniaca, si riempie le tasche sui malesseri della gente dicendo che questo è ciò che fanno gli altri. L’abominio del grottesco è compiuto, il rovesciamento della realtà anche e ciò che fa più male è ascoltare, al termine dell’intervento, il capolavoro di Joan Baez & Mercedes Sosa “Gracias A La Vida”, utilizzato in maniera così meschina. Lasciamole fuori per favore, che loro sì sono eroine del popolo.

Cosa salvare della serata? Nulla, se non il fatto che la pioggia sul finale ha per fortuna limitato la vendita dei libri, intervenendo come strumento catartico mandato da qualcuno dei piani alti e che, in fin dei conti, ci ha provato per tutto il tempo a interrompere il tutto con una bell’acquazzone purtroppo mai arrivato. Dal palco Crepet saluta e strappa applausi perché, se non lo applaudi, sei di quelli cattivi che fanno tutte le nefandezze elencate per tutta la sera. La visione però più reale è quella di un trombone del foro, nostalgico di tempi mitologici mai realmente esistiti, rimasti però vividi nell’immaginario intellettuale di chi è ormai troppo vecchio per fare la rivoluzione. Nel suo caso rivoluzione conservatrice, un altro ossimoro come del resto l’intera serata.

redazione
Author: redazione

Potrebbe interessarti anche

                       

Articoli correlati

                       

Dalla home
VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO?

Iscriviti al nostro
canale telegram

Autore

I Più LETTI
DELLA SETTIMANA

I Più condivisi
DELLA SETTIMANA

 

Ultime NEWS