Il 14 febbraio 1965 il portiere ascolano morì in campo durante un Sambenedettese-Ascoli
“La mascella sul mio ginocchio ed è come se tutti i frastuoni dello stadio poi fossero ovattati, chiusi. E ho sentito solo il rumore delle ossa”. Thanatos, che non è la morte. Ma è “la passione di morte”. Come la passione per l’Eros, l’amore, la vita. E quanto amore ci stavano mettendo i due. Uno, quello che parla, è Alfredo Caposciutti, un omone sempre sorridente classe ’41 che prima giocava da portiere (prendendone cinque da Rivera in una partita giovanile, per esempio) ma poi decide che può fare l’attaccante. Quasi così, per gioco, una figura svettante ma accreditato di undici secondi sui cento metri. Grazie a quella falcata limpida, se solo gli si lasciano tre metri, lui schizza via. Allora si, può farlo. Chiamatina della Sambenedettese in Serie C mentre era alla Fiorentina: “Ci serve una punta. Vieni?” E lui: “Si si, ho deciso, ormai gioco di punta”.
L’altro, Roberto Strulli, di Monsummano terme, nel mondo di Pistoia dove si, se sei toscanaccio, alla burla affianchi una certa testardaggine mai doma. Il 26enne Strulli stava giocando un Sambenedettese-Ascoli allo stadio “Ballarin”, il 14 febbraio 1965. La parata era degna, mi raccontano alcuni, anche difficile, altri invece giurano di non ricordarsela proprio la prima parte. La palla però schizza, Strulli non può perderla. Faccia avanti, si va. Il rumore. C’è il ginocchio di Alfredo Caposciutti. Stack, ossa. “Era steso in terra. L’ho chiamato, ho urlato, ho detto che era fallo mio. Lui aveva gli occhi sbarrati. Ho visto un suo piccolissimo movimento sull’erba e poi più nulla”. L’attaccante, ancora oggi, non tira via la paura, il tremore, il Thanatos: “Non faccio altro che ripensarci“. Parole piene, raccontate al Corriere della Sera, spiegando come i due, addirittura, si erano messi d’accordo per lasciare lo stadio e tornare in auto insieme verso casa.
Roberto Strulli morì, in campo. La prima morte in un rettangolo di gioco. La corsa all’ospedale di San Benedetto per salvare il salvabile fu pressoché inutile, l’arrivo di compagni, avversari, dirigenti e tifosi servì solo per avere la notizia. Non si è potuto fare nulla. Ah, la Samb vinse quel derby: 4-0. Ma chi ci pensò più a quella partita. Forse per altri motivi se la ricorda solo Adelmo Cappelli, di professione centrocampista o difensore, che mise i guantoni e che poi rimase ad Ascoli fino alla morte. Eros e Thanatos. E dall’amore, Roberto avrebbe avuto una nuova vita. Due mesi dopo il decesso, infatti, la giovane moglie Luana mise al mondo suo figlio che mai avrebbe conosciuto. Il nome fu cambiato in Roberto Junior. Nella città delle Cento Torri, Strulli resta l’animo da seguire. A lui è intitolata una piazza, a lui sono stati dedicati libri e convegni. A lui è dedicato amore, a lui è consegnata la sofferenza e la “morte” che ogni tifoso chiede ad un calciatore bianconero. Da quel giorno, per sempre, nel Piceno Strulli sarà l’asticella: quanto Eros puoi dare all’Ascoli Calcio? E quanto Thanatos?
