Il futurismo di Marinetti e la lectio magistralis di Marcello Veneziani: “Imbattuta, la luna rimane luogo dell’anima”

Sul palco del festival di Popsophia si parla dell’eredità lasciata dalla prima avanguardia storica italiana del Novecento

di Nazzarena Luchetti.

Uccidiamo il chiaro di luna. Il motto del giovane artista futurista Filippo Tommaso Marinetti venne pubblicato per la prima volta il 5 febbraio del 1909 sulle pagine della Gazzetta dell’Emilia ma solo dopo che venne presentato sul quotidiano francese Le figaro, l’inno che avrebbe rivoluzionato l’arte del 900, conobbe la fama mondiale. Da quel momento ebbe inizio la guerra all’immobilità classicista, al sentimentalismo romantico, ai professori delle prosodie e dei versi danteschi, a quella tradizione che frenava la creazione di un’arte nuova. Di contro, vengono esaltate la velocità, l’azione, la guerra. “Nell’era della tecnica e della prima macchina, i giorni pacati del cogito ergo sum vengono sostituiti con l’ago ergo sum”. Meno pensiero, più pragmatismo.

Ma i chiari di luna non sono morti. E a Civitanova Alta, in una calda sera di fine luglio, sul palco del festival di Popsophia, è il filosofo, giornalista e scrittore Marcello Veneziani a spiegarci perchè il futurismo ci ha lasciato una grande eredità ma ha fallito il suo intento prometeico. “Il futurismo non è stata un’irruzione barbarica, non voleva cancellare le grandezze del passato ma liberare il proprio tempo dall’immobilismo. Ripudiare quella tradizione che poco aveva a che fare con quella rinascimentale dove l’uomo era fabbro della propria vita.  Marinetti rappresenta l’euforia della prima modernità, l’orgasmo della prima macchina. L’avvento della tecnica imponeva un nuovo linguaggio, un diverso modo di concepire il mondo che rivalutasse quell’istinto in grado di scuotere la fiacchezza di pensiero dei periodi di pace”. Il richiamo alla guerra come igiene del mondo, quindi, è il messaggio forte che può contrastare il languore romantico della Belle Epoque, ben rappresentato dalle immagini con le gondole illuminate dalla luna sulla laguna di Venezia, quella Venezia che un tempo era stata una grande potenza marinara e ora era in balia del demone della frivolezza. “Tutto doveva incendiarsi di una nuova passione perché il nuovo mondo sarebbe stato degli arditi. Non è l’elogio nietzschiano del superuomo, troppo legato all’armonia greca, ma l’esaltazione di quello slancio vitale  che caratterizza la filosofia di Bergson”. Nessun riformismo, nessun eterno ritorno ma la mobilitazione di energie vigorose pronte a distruggere il vecchio da cui si salva solo l’amor patrio. L’Italia svecchierà le sue idee con Marinetti, D’Annunzio, Mussolini e con quest’ultimo impugnerà anche le armi, con conseguenze fallimentari.

E’ passato più di un secolo dal manifesto del futurismo e cinquant’anni dallo sbarco sulla luna. Il viandante della famosa tela di Friedrich, nel manifesto 2019 di Popsophia, indossa la tuta d’astronauta, simbolo dell’uomo che non si è limitato a contemplare la luna, l’ha soggiogata. Eppure Heidegger sosteneva che non abbiamo conquistato la luna, abbiamo perso la terra, che la tecnica non ci porterà in paradiso ma ci asservirà. E non ci saranno spazi per la tradizione, la contemplazione, la metafisica.

Scriveva infatti Marinetti: “L’uomo del futuro avrà solo un modesto interesse di conoscere il suo passato. Avrà invece una continua smania di sapere come vivono e cosa fanno gli uomini del suo tempo e attraverso l’uso dell’elettronica avrà i mezzi per farlo”.  Aveva ragione l’artista futurista ma non poteva sapere con quali conseguenze. “Non poteva presagire che l’esasperata esaltazione della tecnica avrebbe provocato un disagio esistenziale, che l’elogio della macchina avrebbe portato alla frenesia del traffico odierno, non poteva sospettare che quella gioventù bruciante, cinquant’anni dopo avrebbe generato una gioventù bruciata. Che l’autorità della tradizione sarebbe stata sostituita dalla dittatura del potere assoluto del presente. Quando sarebbe urgente oggi, per risvegliarci dalla nostra apatia, dal nostro mosciume, quella vitalità e energia del fare, quel fervore creativo che tanto ha caratterizzato il futurismo”.

Marinetti non ha scritto capolavori. “Il capolavoro è stata la sua vita: il titanismo applicato alla vita di tutti i giorni, il mettere insieme linguaggi diversi. Quel Marinetti che aveva incitato al libero amore, all’anticlericalismo, si sposò in Chiesa, battezzò le sue figlie che chiamò Ala, Luce e Vittoria, generazione futurista. L’ultimo Marinetti va a vivere a Venezia, quella romantica Venezia che aveva tanto combattuto. Si fa più cauto, intuisce che la potenza dello slancio vitale senza freno si fa impotenza, che la libertà ha bisogno di ordine, di un recinto in cui muoversi”. Così si riconoscono i limiti umani e il naufragar nell’infinito mare diventa dolce. Quando, invece, la pulsione per l’infinito spinge ad andare oltre, quando si perde il senso della misura si finisce come l’Ulisse dantesco che sfidò le colonne d’Ercole e naufragò davvero. Emerge, alla fine, vittoriosa la luna di Leopardi, quella luna alla quale, noi, anime sole ed erranti, continuiamo a rivolgere, segretamente o pubblicamente, pensieri e parole, a porre le eterne domande. “La luna non ha perso nulla è rimasta mito, sogno, mistero”, conclude Veneziani.

Per le anime inquiete è qualcosa in più: un’ardente nostalgia degli dei.

Marcello Veneziani

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Author: redazione

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