“Il bullismo uccide in silenzio: serve un intervento a 360° per prevenirlo e combatterlo”

L’intervista

Il bullismo è una problematica complessa che richiede un approccio multiforme, coinvolgendo sia la vittima che l’aggressore, nonché l’ambiente circostante“. A parlare è Sebastiano Andrea Massaccesi, psicologo clinico, che da anni porta avanti progetto di sensibilizzazione sul bullismo rivolto ai ragazzi delle scuole superiori marchigiane. Il bullismo è una delle problematiche sociali più diffuse tra i giovani, con conseguenze spesso gravi sul benessere psicologico e fisico delle vittime. “In quanto psicologo clinico mi preme sottolineare l’importanza di affrontare il bullismo con delicatezza e professionalità, tenendo conto delle specificità di ogni situazione – continua lo psicologo – Innanzitutto, è fondamentale comprendere la natura del bullismo. Non si tratta di un semplice litigio o di uno scherzo innocente, bensì di un comportamento ripetitivo e intenzionale volto a danneggiare o umiliare l’altro. La vittima di bullismo si trova spesso in una situazione di vulnerabilità e fragilità. È essenziale offrirle supporto e ascolto, aiutandola a costruire quella che viene chiamata alfabetizzazione emotiva: cioè riconoscere e accettare le proprie emozioni: paura, rabbia, tristezza sono reazioni comuni al bullismo. È importante validare queste emozioni e non minimizzarle”.

Essendo dirigente psicologo della Nico (Nazionale italiana calcio olimpionici) – afferma – un’associazione che combatte tutti i giorni la piaga del bullismo, tendo a riportarlo al suo più mero e negativo livello. Quello della violenza con la V maiuscola. La parola bullismo è così stata tanto usata, a volte ahimè in maniera del tutto errata che ha perso nel tempo il suo valore massacrante e mortifero. Quindi riconoscere la violenza perpetrata in primis nel contesto scolastico diventa il primo obiettivo.

Il bullismo uccide in silenzio: questo perché le voci che dovrebbero urlare sono tappate dalla paura di essere giudicati, perseguiti o per timore di poter peggiorare le cose – conclude Sebastiano – anche l’aggressore ha bisogno di aiuto. Il suo comportamento, spesso espressione di disagio o difficoltà, può nascondere problematiche più profonde. Vi chiedo questo, quando portate la vostra macchina dal meccanico? Il 90% risponderà che la porterà quando avrà problemi al motore. Ma già sarà troppo tardi. L’auto avrà un danno, rimediabile è vero, ma che si sarebbe potuto evitare. Per questo la violenza bisogna riconoscerla dalla sua fonte, da chi la perpetra: il bullo. Esso a sua volta scarica la sua ipotetica rabbia, frustrazione, tristezza a causa di radici familiari, sociali, culturali. Per questo l’intervento deve essere a 360°. Ciò che suggerisco è ampliare la conoscenza e riconoscenza di tale piaga con corsi di formazione sia per genitori che professori affinché tutti possano collaborare per sanare questo virus sociale. Nel mio lavoro già troppe volte ho dovuto “accomodare auto” che potevano ancora correre senza la paura di rimanere per strada, solamente perché in un mondo abituato a curare ci siamo dimenticati che possiamo prevenire“.

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