I soldati Maori nelle Marche durante la Seconda Guerra Mondiale: un ricordo tra paura, speranza e cioccolata

di Caterina Palmucci

Tra il 1944 e il 1945, l’Italia centrale – e quindi le Marche – fu teatro di occupazioni, battaglie e liberazioni. In questo contesto difficile, giunsero i soldati neozelandesi della 2ª Divisione, in particolare il 28° Battaglione Maori, come parte delle forze alleate impegnate a respingere l’occupazione tedesca.

Questa divisione, a supporto dei battaglioni inglesi, attraversò l’entroterra marchigiano nella marcia per liberare le zone tra Cassino, Rimini e Faenza, dove si combatterono scontri sanguinosi e molti soldati trovarono la morte.

A Sforzacosta, una testimone che all’epoca aveva vent’anni ricorda con lucidità e commozione quei giovani venuti dall’altra parte del mondo. L’arrivo dei neozelandesi segnò la fine dell’occupazione tedesca per molte famiglie, ma al tempo stesso rappresentò il passaggio da un esercito straniero a un altro. “Sono arrivati tutti uomini strani, scuri, con le trecce, non capivamo chi fossero. Poi ci dissero che erano neozelandesi, coloni degli inglesi. Non erano cattivi, con noi erano corretti, ma non capivamo quello che dicevano, parlavano una lingua tutta loro, ma si vedeva che era povera gente che avevano preso e costretto ad andare in guerra”.

Un incontro personale rivela la fragilità dietro l’uniforme e l’universalità della paura. “Una volta sono andata a trovare mia nonna, e l’ho chiamata da fuori, piano piano, chiedendole se c’erano i tedeschi dentro casa sua. Si è affacciato un ragazzo, non un tedesco, un ragazzo dalle colonie, parlava male l’italiano e mi ha detto che aveva la mia stessa età, con un padre e una madre che l’aspettavano a casa e che piangevano per lui. Gli mancava casa sua, ma non poteva ancora rientrare, perché doveva fare il soldato. Anche lui aveva paura come noi. Me lo ricordo come se lo vedessi adesso”.

I neozelandesi si accamparono anche a Passo Treia, a Villa Lazzarini. Portavano con loro oggetti allora considerati luss, arrivati in casse grazie ai rifornimenti statunitensi: barrette di cioccolato, biscotti, saponette e sigarette.

Tuttavia questi soldati che venivano da lontano e avevano viaggiato tanto portarono con sé il tifo, che presto si diffuse in tutta la zona, colpendo quasi ogni casa.

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