Enrico Mattei, 60 anni fa sul cielo di Bascape’ non volle sottrarsi al suo destino per lasciare un segno

“Non voglio vivere da ricco in un Paese di poveri”. L’amicizia fraterna con Ezio Vanoni centrale nella nascita dell’Eni che il grande marchigiano voleva si chiamasse Ene (ente nazionale energia). Vide in anticipo le enormi potenzialita’ dei settori nucleare ed elettrico

di Maurizio Verdenelli

Sessanta anni senza Enrico Mattei. Sessanta anni senza il generoso capitalista di Stato che anteponeva a tutto gli interessi del Paese (afflitto dalla piaga dell’emigrazione con la valigia di cartone) per il progresso e il lavoro know how.

Aveva rinunciato ad essere il direttore generale piu’ pagato al mondo -miliardi di dollari Usa per guidare l’holding delle Sette Sorelle insieme con l’Eni- perche’ voleva una via italiana per l’energia.

Enrico Mattei alla stazione di servizio Agip nella sua diletta Anterselva (rielaborazione grafica di Genesio Medori)

Non a caso aveva proposto per il gruppo del Cane a sei zampe, la denominazione Ene. Ente nazionale Energia, anziche’ Eni, Ente nazionale Idrocarburi. Guardava avanti Mattei nato ad Acqualagna nel 1906 da padre aquilano e madre del posto, poi a dieci anni diventato matelicese seguendo con la famiglia il padre maresciallo dei Carabinieri in terra maceratese.

Guardava avanti Mattei e pensava gia’ poco prima di morire all’elettrico e al nucleare. Come il genio Leonardo gli eventi di questi giorni non l’avrebbero sorpreso. Li aveva gia’ previsti. Non aveva voluto rinunciare al suo sogno, in vista del rinnovo delle cariche dell’Eni, la creatura cui lui aveva dato vita. E neppure aveva ascoltato il consiglio che il 19 settembre di 60 anni fa gli aveva fatto recapitare per lettera il segretario della Dc, Aldo Moro: Enrico dimettiti.

 

Il sogno di Enrico, il new Caesar per gli americani, il sogno des enfants du Mattei (per i francesi) si sarebbs infranto il 27 ottobre 1962 nel cielo plumbeo e piovigginoso di Bascape’ tra Lodi e Pavia. Per pochi metri l’indagine tocco’ a quest’ultima Procura: a Lodi il pm era l’ascolano Emidio Mandrelli. Tuttavia l’esito sarebbe stato sempre lo stesso. Soltanto poco meno di 50 anni dopo fu infatti possibile provare, attraverso le indicazioni di un pentito della Stidda gelese (Gaetano Ianni’) che durante la manovra di atterraggio il bireattore Eni era in realta’ esploso perche’ minato con 100 grammi di tritolo. Inserito nel cruscotto dell’aereo guidato dall’asso dell’aviazione militare Irnerio Bertuzzi: a bordo con Mattei l’inviato di Time-Life, William Mc Hale. Che avrebbe dovuto intervistare il presidente dell’Eni per il servizio di copertina del popolare Magazine, previsto per l’uscita del 10 novembre. Tutto questo alla vigilia della visita uffuciale alla Casa Bianca che aveebbe visto Mattei accolto da JFk.
Era il 1962. La Speranza del Mondo declino’ con l’improvvisa quasi contemporanea scomparsa di tre Giganti di quel breve tratto di Storia mondiale: Papa Giovanni, Jennedy e il Grande Italiano che non voleva vivere da ricco in uno. Paese di poveri. Dove poi molti altri potenti si sono trovati sin troppo bene.

Enrico Mattei: il suo penultimo viaggio in Sicilia

Aveva un cuore grande. Enrico. Prima dell’ultima partenza per la Sicilia era voluto tornare nel suo ‘Buen retiro’ ad Anterselva al confine dell’Austria. All’inviato del ‘Gatto Selvatico’ (rivista ufficiale dell’Eni), aperto un cassetto nella propria camera, mostro’ un vecchio maglione da montanaro. Gli era stato donato dalla famiglia dell’amico fraterno Ezio Vanoni, il potente ministro degasperiano delle Finanze. Senza Vanoni tutto sarebbe stato inutile: l’Eni non sarebbe mai stata e l’Agip sarebbe diventata americana petr 75 milioni di lire. Quel maglione aveva visto nascere e crescere tra i monti il sodalizio Vanoni-Mattei. Enrico l’aveva visto addosso ad Ezio, a casa sua, il giorno prima che morisse a Palazzo Madama. Aveva pianto davanti al corpo senza vita dell’amico. E pure quel giorno si era commosso ad Anterselva prima di partire per Gela. Intuiva che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Nonostante tutto non volle sottrarsi al proprio cruciale destino.

Voleva lasciare, Mattei, un segno, un seme. Che dal Potere a lungo con potenti e terribili mezzi occultato, ha finito dopo 60 anni con lo sbocciare e fiorire nella coscienza del Paese e di tutti gli oppressi del mondo: dall’Africa all’Oriente che lo hanno pianto come un figlio ed un ‘padre‘.

Il tre volte Premio Oscar Dante Ferretti: nelle sue mani il libro ‘La leggenda del Santo Petroliere’ che Maurizio Verdenelli (nella foto) ha dedicato ad Enrico Mattei.
La cerimonia in ricordo di Mattei al cimitero di Matelica
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