Costantino, l’anima verace di Ascoli

di Andrea Verdolini

Non ho mai avuto la fortuna di conoscere direttamente Costantino Rozzi. Riuscìì soltanto una volta ad incrociarlo all’inaugurazione di un tratto della superstrada Ascoli-Mare: io sbarbatello cronista alle prime armi, lui celeberrimo portavoce del bistrattato calcio di provincia. Fu un’intervista fugace, il male lo stava divorando a soli 65 anni ed allora, a distanza di quasi 5 lustri, ne approfitto in maniera postuma per confessargli cosa avrei voluto chiedergli ma non avrei mai osato. Ad esempio di quella volta, era l’Estate del 1974, che si imbattè al calcio-mercato in lady Renata, l’aristocratica moglie di Ivanoe Fraizzoli, il successore di Moratti senior alla presidenza dell’Inter. Il suo Ascoli, tra la sorpresa generale, era appena stato promosso in Serie A (era la prima volta assoluta di una società marchigiana) ed il “nostro” fu gratificato dalle attenzioni della Presidentessa. La quale, forse preoccupata di una trasferta del tutto inedita e con un sovrano distacco dalle cose terrene gli chiese “Ma quale strada devo fare per venire ad Ascoli?” Con ineguagliabile prontezza di spirito quello che ai suoi occhi gli appariva come un carneade plebeo asceso, magari per buona sorte alla Scala del football, gli rispose: ”La stessa che faccio io per venire a Milano”. O magari mi sarebbe piaciuto chiedergli del suo rapporto, quasi carnale, con i tifosi. Una volta, durante una diretta radiofonica a “microfoni aperti” e senza filtri, come si usava allora, un caliente supporter contestava la posizione in campo, nientepopodimeno che di Dirceu. Rozzi lo riconobbe ed in vernacolo gli rispose “Ma tu si quille che venne li cocommeri vicino a lu stadie. Preparamene un po’ che ‘mmo passo”. Detto-fatto e chi si trovò a transitare quella sera in Via delle Zeppelle notò con stupore che si era creato un nutrito crocchio di persone a discutere, animatamente, di alchimie tattiche o della bontà o meno di qualche giocatore, dispensando consigli per gli acquisti in cui tutti erano coinvolti, dall’ultimo tifoso della curva per arrivare, appunto, al Presidente. Rozzi era questo: tribuno, capopopolo, visceralmente passionale, follemente innamorato della sua squadra e della sua città. Ha vissuto sempre con enorme generosità e magari, alla lunga, ne ha anche pagato, pesantemente, lo scotto. E’ morto, guarda il fato, una Domenica pomeriggio, qualche istante dopo il triplice fischio di una partita. Il suo Ascoli aveva sonoramente battuto il Pescara e probabilmente avrà lasciato la vita terrena con un sorriso. Per decenni, dopo la dipartita, in un pilone di quella superstrada ha campeggiato una scritta: “Custandì, tu che si la voce nostra fa casì…” riferendosi alle sue mitiche ospitate al Processo del Lunedì dove difendeva, a denti stretti, il suo calcio da quello delle metropoli. Al suo funerale furono calcolate quasi trentamila persone in lacrime e con le bandiere a lutto: una partecipazione del genere non c’era mai stata per nessun personaggio e forse anche nel futuro non ci sarà mai.

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