Caccia al cinghiale, stagione a rischio nel Piceno: “Promesse non mantenute”

In assenza di novità sul fronte normativo ed economico, i cacciatori sono pronti a incrociare le braccia a due settimane dal via dall’attività venatoria

di Federico Ameli

Stagione di caccia al cinghiale a rischio nel Piceno, dove oltre 1.000 appassionati si dicono pronti a incrociare le braccia a due settimane dal via dell’imminente stagione venatoria. Lo scorso giovedì 12 settembre, i rappresentanti di 21 delle 22 squadre attive su tutto il territorio provinciale si sono riuniti per fare il punto della situazione, ribadendo la necessità di diversi passi avanti da parte della Regione Marche e con l’assessore alla Caccia Andrea Maria Antonini.

Dovendo fare i conti con una stagione venatoria prolungata di un ulteriore mese rispetto ai tradizionali tre, in programma dal 2 ottobre al 31 gennaio per far fronte alla diffusione della peste suina africana, da diversi mesi a questa parte i cacciatori hanno espresso ai rappresentanti di Palazzo Raffaello dubbi ed esigenze sulle norme vigenti, anche a fronte di un sensibile aumento dei costi. In particolare, le squadre sono chiamate a farsi carico di un costo lievitato fino a 1.070 euro per lo smaltimento di pelli e viscere, a cui si aggiungono le spese delle visite delle corate e l’iscrizione delle squadre per un minimo di 500 euro, senza considerare le quote versate per la quota carni dalle stesse squadre nell’ambito del controllo svolto al di fuori dell’attività venatoria al fianco della Polizia Provinciale.

Cifre importanti, con importi e vincoli da cui invece la caccia relativa ai fascicoli aziendali – ossia l’attività venatoria svolta in prossimità di terreni privati soggetti ai rischi che la presenza dei cinghiali porta con sé, con l’abbattimento dell’animale e la possibilità di venderlo – è esente, che i cacciatori hanno chiesto di limare. Le altre proposte, invece, riguardano delle modifiche alle attuali norme in materia di caccia, dalla composizione delle squadre ai vincoli di tabellazione perimetrale, fino ai fucili da impiegare per la girata. Al di là della componente ricreativa, a beneficare dell’attività svolta dai cacciatori è l’intera comunità locale, anche alla luce delle possibili ripercussioni della peste suina sulle sorti degli allevatori locali e, soprattutto, dei numeri fatti registrare in media dalle stagioni venatorie nel Piceno, con l’abbattimento in braccata o girata di un numero di capi che oscilla mediamente tra i 1.200 e i 1.500 nel giro di 3 mesi.

Ad oggi, però, nonostante le promesse, da Ancona non sono giunte novità, ragion per cui i cacciatori si apprestano a incrociare le braccia in segno di protesta. Un episodio unico nel suo genere nel Piceno, frutto di un malcontento generale che in questi giorni rischia di coinvolgere anche le altre province marchigiane.

«Abbiamo presentato poche e semplici richieste, finora disattese – fanno sapere i rappresentanti delle 21 squadre coinvolte – Abbiamo scelto di fermarci in segno di protesta, ribadendo le richieste già fatte e ad oggi ancora non accolte. L’estensione della stagione venatoria ha fatto lievitare i costi a carico delle squadre. Avevamo proposto un periodo di caccia diverso, andando a comprendere il mese di febbraio anziché quello di ottobre, in cui la vegetazione fitta e la presenza massiccia di raccoglitori di castagne e funghi rappresentano un notevole pericolo. Inoltre, la scelta di ottobre rischia di costituire un problema anche sul fronte igienico-sanitario, dato che in assenza di basse temperature le carni potrebbero deteriorarsi. Mentre noi siamo costretti a spendere cifre importanti per fronteggiare un impegno economico sempre più oneroso, peraltro, la Regione ha scelto di investire centinaia di migliaia di euro per un progetto di filiera delle carni di selvaggina da cui noi non trarremo alcun beneficio. Inoltre, ci chiediamo in che modo i fascicoli aziendali smaltiscano le pelli e le viscere degli animali. Per questi motivi, non ritireremo i registri Atc – forniti dalla Regione e da compilare ad ogni uscita, ndr – e ci fermeremo,in attesa che chi di dovere prenda in considerazione le nostre richieste».

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