All’Abbadia di Fiastra il primo campo d’internamento, la solidarietà della popolazione

LA GIORNATA DELLA MEMORIA. Ebrei, in maggioranza, intellettuali antifascisti e profughi. Un centinaio a villa Giustiniani-Bandini. Dopo 3.5 anni ad Auschwitz: uno solo si salvo’

di Maurizio Verdenelli

Fu molto probabilmente il primo campo d’internamento in Italia per ebrei ed antifascisti italiani -con i quali poi vennero ammassati profughi dalmati, sloveni, giuliani e da Germania, Austria, Polonia, Romania. Un centinaio di persone in tutto.

Dal 1 giugno 1940, due settimane prima della stessa entrata in guerra, l’Italia fascista avvio’ il campo all’interno della villa dei principi Giustiniani Bandini all’Abbadia di Fiastra nel comune di Urbisaglia-Bonservizi, trasferendovi gli internati del Campo 54 di Colfiorito (Foligno) dove il fascismo deteneva da tempo gli intellettuali dissidenti, tra cui il giurista Piero Calamandrei.
Tutti dunque ad Urbisaglia: il comune era cointestato al giornalista Nicola Bonservizi, amico del duce, vittima dei falchi interni al regime guidati dal Dumini che cercarono di far passare l’omicidio come vendetta trasversale al caso Matteotti. Ad Urbisaglia tutto parlava, e tuttora con il recente parcheggio bilingue Masada, della storia ebraica. A finanziare il colossale anfiteatro fu infatti il celebre generale romano originario di Urbs Salvia, Lucio Flavio Silva Nonio Basso, eversore dell’ultima disperata resistenza degli Zeloti.

” Il Disegno di Zinaida ” , autore Alvaro Giacchi, edito da Joppolo Editore, Milano, 1994. Ricorda il figlio Giovanni, giornalista: “Mio padre scrive tra l’altro nell’ Introduzione:
Questo libro è figlio della Memoria storica, quella sopravvissuta all’odio antisemita e alla mistificazione revisionista ed è il mio attestato di solidarietà e di risarcimento morale nei confronti dei .martiri – soprattutto giovani e innocenti – della Shoa’.

E ad Urbisaglia, con il campo d’internamento in piena attivita’, si sarebbe costituita agli ordini di Augusto Pantanetti la banda partigiana Nicolo’, la piu’ importante di quelle sorte nel maceratese. Che ha una ricca storia al riguardo. Dalle alture sanseverinati insanguinate dalle battaglie e dove fu partigiano Enrico Mattei, alle recenti ‘scoperte’ della treiese Villa Spada con i primi partigiani neri e a Collattoni sopra Montecavallo, la lotta per la Liberta’ ebbe in questa provincia marchigiana un ruolo di primo piano nel Paese.
Il campo d’internamento all’Abbadia (un secondo era a Sforzacosta dove la Nembo spezzo’ la resistenza tedesca e libero’ Macerata) chiuse il 31 ottobre 1943. Ottantaquattro detenuti partirono per Auschwitz: uno solo ne ritorno’. Paul Pollack avrebbe descritto la permanenza all’Abbadia come un momento sereno, nella solidarieta’ della gente del posto. Il regime era di semiliberta’ (la Ps controllava all’interno, i carabinieri l’esterno) e spesso gli internati in cambio di servizi, riferiti alle colture agricole e qualche prodotto, venivano invitati nelle case contadine intorno per cena.

Nella sovraffollata villa, ma il parco intorno era un momento di grande sollievo con la possibilita’ di passeggiate, si organizzavano corsi di lingua e realizzata una biblioteca. E all’ombra dell’antica Abbadia circestense, ora quartier generale (causa sisma) del vescovo di Macerata, Marconi, veniva allora eretta una sinagoga per le funzioni della religione ebraica.

 

Tre anni e mezzo di coabitazione e vita tranquilla (un solo caso: il trasferimento alle Tremite di un “sobillatore”: l’italiano Cantoni). E pure il cane da guardia nel campo, uno splendido animale, era diventato caro a tutti
Poi l’inferno e la morte nel terribile lager.
In quello di Mathausen avrebbe trovato la morte, nella commovente ricostruzione del libro, la piccola Zanaida deportata. dal ghetto di Roma. Una bellissima testimonianza letteraria, agli inizi degli anni 90, opera di un bravissimo docente, un preside, un ingegnere maceratese per anni a capo dell’Itis Mattei di Recanati.
E in un libro, piu’ recente, la storia del dottor Giosue’ Di Segni sfuggito alla medesima ‘retata’ nella capitale, grazie alla generosita’ di amici marchigiani. E rifugiatosi con moglie e figli a Serripola (San Severino). “Giocavamo con quei ragazzini romani tutto il giorno ma sapevamo di non dover fare loro domande…” ha ricordato a S.Severino qualche giorno fa il cardinal Edoardo Menichelli, uno di quei ragazzini del posto.

Giada Berdini
Author: Giada Berdini

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