A 73 anni allena in Prima, il “Maghetto” Ferretti vuole salvare la Belvederese

CALCIO – Il tecnico, in pensione dal 1990, è sempre in formissima: “Questo è lo svago per mantenermi giovane”

di Sara Santacchi

La Belvederese la definisce “lo svago per mantenermi giovane”, ma in realtà è molto di più, quasi una seconda casa. Gianfranco Ferretti, conosciuto come il “Maghetto”, dalla scorsa settimana è tornato sulla panchina della Belvederese (nel girone B di Prima categoria) per la quinta volta, a ben 73 anni. “Sono tornato a Belvedere lo scorso anno – racconta Ferretti – come direttore sportivo e abbiamo iniziato un progetto, poi qualche giorno fa mi hanno chiesto di rimettermi in gioco alla guida della squadra, anche se l’allenatore che avevamo scelto, Lorenzo Togni, è un valido tecnico. Volevamo scuotere la situazione che per diversi fattori non dava più i risultati sperati e così ripartiamo”. Un’altra sfida, insomma, per Ferretti che ammette: “Io non ho vinto tanti campionati, ma diverse scommesse e battaglie ed è proprio questo che mi ha sempre smosso”. Nato il 4 settembre 1945 è laureato in Lettere antiche e ha sempre affiancato al calcio l’insegnamento. E’ stato professore di storia e filosofia, ma la vera passione è sempre stata il calcio. Quella passione che ha cercato di coltivare sempre e comunque, nonostante in famiglia gli imponessero di dare più importanza allo studio. Allena dal 1979 e dal 1990, anno della pensione, può dedicarsi a pieno a questo suo primo amore.

Mister come nasce la passione per l’allenamento?

“Da piccolo fingevo di aver dimenticato la borsa di educazione fisica e scappavo a giocare a calcio. Quando avevo solo 16 anni, nei tornei amatoriali, tra amici, mi sono ritrovato più volte a essere scelto come allenatore nonostante fossi il più piccolo in un gruppo di ragazzi di 25-26 anni. Mi sono sempre formato ed erano altri tempi: non c’erano filmati e internet come oggi. Andavo in ritiro con squadre professionistiche, sono stato anche con l’Ascoli per imparare e studiare le tecniche di allenamento”.

Il suo arrivo cosa vuole portare alla squadra?

“Fermo restando che chi mi ha preceduto ha fatto un buon lavoro, si era perduta un po’ di stima, è subentrato un po’ d’impaurimento, anche per la mancanza di risultati. Io ho un carattere particolare, sono un motivatore, ma chiedo anche tanto alla mia squadra sotto il profilo dell’impegno: non ho mai pensato che si possa ottenere molto facendo poco. Ai ragazzi dico sempre che se alzo la voce non devono andare a lamentarsi da nessuna parte, ma reagire e tirare fuori il carattere”.

Non è ancora stanco di allenare dopo quasi 50 anni?

“Io sento con lo stesso entusiasmo che avevo a 20 anni. L’entusiasmo e il trasporto sono gli stessi”.

Dove vuole portare la Belvederese insomma?

“Prima di tutto fuori dai play out. Dobbiamo tornare a divertirci e ritrovare la nostra identità perduta, facendo i risultati giusti che stimolano a fare meglio. Quella non è la nostra collocazione in classifica, quindi dobbiamo migliorare. Poi ovviamente un occhio va sempre verso i nostri giovani che vogliamo far crescere e giocare”.

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